Martina Attili canta Cherofobia. Perché in fondo tutti ne soffriamo [VIDEO]

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La parola Cherofobia è tra le più ricercate su Google nel 2018 per merito dell’inedito di Martina Attili, concorrente di X Factor 2018. Il successo del brano, infatti, ha spinto tantissime persone a digitare sul noto motore di ricerca questa inusuale parola per conoscerne il significato.
La cherofobia non è altro che la paura di essere felici. Non si tratta di una vera e propria patologia bensì di un disagio che colpisce in particolar modo le nuove generazioni. Tale disturbo, infatti, non è riconosciuto ufficialmente dall’Organizzazione Mondiale della Sanità eppure, a detta di tanti psicologi, colpisce l’anima di tanti giovani che non sempre si sentono all’altezza della perfezione richiesta dalla società odierna.
Il brano di Martina Attili, cantautrice di soli 17 anni, è autobiografico ed è stato composto in un periodo particolarmente difficile della sua vita. All’epoca frequentava un ragazzo a cui non riusciva a esprimere i propri sentimenti. Il motivo, probabilmente, era dovuto proprio alla paura di essere felice.
Con questa canzone la neo-artista ha fatto luce su un disagio, quale la cherofobia, che ad oggi colpisce sempre più persone. Molte persone, troppe. In fondo tutti ne soffriamo, chi più chi meno, siamo tutti cherofobici. Perché?
Secondo Oscar WildeNella vita ci sono due grandi tragedie: una è non ottenere ciò che si desidera, l’altra è ottenerlo“. Ciò significa che:

Quando otteniamo qualcosa che desideriamo temiamo di perderlo, di non riuscire a mantenerlo e questo crea frustrazione. Vincere significa dover mantenere le aspettative e il livello che si è raggiunto” [dott. Andrea Calò]

Quindi, in realtà, la persona cherofobica non ha paura di essere felice ma di non esserlo. Teme che la felicità duri troppo poco, si concentra sui possibili esiti negativi di una situazione evitando quelli positivi per timore che si trasformino in fonte di sofferenza.
In Cherofobia Martina canta così:

Non riesco a vivere senza
Qualcosa che mi opprime
Che mi indichi la fine

E ogni volta che qualcosa va come dovrebbe andare
Penso di non potercela fare

E sento il respiro che manca
E sento l’ansia che avanza
Fatemi uscire da questa benedetta stanza

Essere cherofobici quindi è un meccanismo di autodifesa per evitare il dolore. Ma scappare dal dolore significa scappare anche dalla felicità. Perché se il dolore è in qualche modo un ostacolo alla completa felicità, non è rifiutando il dolore il modo giusto per raggiungerla. Rinunciare a parti della propria vita per paura che qualcosa di brutto possa accadere non solo è sbagliato ma ci costringe a vivere una vita a metà. Perché se è vero che l’essere costantemente felici è impossibile per questo mondo (un mondo che non è in grado di offrire la vera felicità) è anche vero che c’è qualcuno che può contribuire a renderci felici con la propria presenza.
Cherofobia infatti, non è soltanto un brano che denuncia e implora solitudine, ma è anche una richiesta di aiuto che si palesa nel finale di ritornello con la frase “ma tu, resta”. Non so chi sia il “tu” a cui si rivolge Martina. Probabilmente l’ex fidanzato ma possono essere tante le alternative: un amico, un genitore, perfino Dio. Ogni presenza esterna è una possibilità di spalancare lo sguardo a cose che la solitudine non potrà mai dare: compagnia, consolazione, dialogo, novità. 
Ogni piccolo tu è parente del grande Tu.

Soltanto Dio ci può donare la vera felicità: è inutile che perdiamo il nostro tempo a cercarla altrove, nelle ricchezze, nei piaceri, nel potere, nella carriera” [Papa Francesco, Angelus, 18/02/2018]

© 2018 Emanuele Fardella

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