Quando il poster promozionale di “Cuties” (Donne ai primi passi) è stato rilasciato, è stato accolto con shock e orrore. Orgogliosamente promossa da Netflix, l’immagine mostrava quattro bambine di 11 anni in abiti succinti che posavano in tutti i tipi di posizioni sessuali. Il fatto che la parola “Cuties” (ragazze carine/tesorini) fosse stampata a caratteri cubitali sotto l’immagine non aiutava.
Netflix ha anche fornito un breve riassunto del film che suonava come la descrizione di un film soft porno:
“Amy, 11 anni, rimane affascinata da un gruppo che balla il twerking. Sperando di unirsi a loro, inizia a esplorare la sua femminilità, sfidando le tradizioni della sua famiglia” .
Immediatamente, le richieste per la rimozione di questa locandina hanno raccolto un grande sostegno. Netflix si è quindi scusata, ha cambiato il poster e ha persino pubblicato una nuova descrizione.
Una volta uscito il film, l’opinione pubblica si è divisa in due: da una parte coloro che lo hanno stroncato sostenendo che incentivi la pedofilia, dall’altra coloro che sostengono che “il messaggio va capito“. Come stanno quindi le cose? Vi dico la mia.
Il film narra la storia di Amy, una bambina di 11 anni che vive in Francia con sua madre, un’immigrata senegalese, musulmana devota. Ad Amy non sembra piacere nulla delle sue origini. A casa, la sua famiglia sta per subire un cambiamento significativo poiché suo padre sta per sposare una seconda moglie. E andrà a vivere con loro. Vedendo sua madre soffrire, Amy si rivolta contro suo padre e contro quella cultura che vorrebbe la donna sottomessa e con un ruolo subalterno.
Nel tentativo di ribellarsi alla sua definizione di femminilità, Amy va nella direzione opposta e si unisce a un gruppo di undicenni per prepararsi ad una competizione di twerking, il ballo che fa vibrare le natiche in modo osceno.
Usando questa premessa però “Cuties” si spinge troppo in là.
Ci vogliono solo pochi minuti del film per passare da “questa è una premessa interessante” a “cosa diavolo sto guardando?”.
Da lì in poi, un susseguirsi di scene imbarazzanti: ragazzine (o forse meglio dire ‘bambine’) con pantaloni in lattice, aderenti, che lasciano intravedere i corpi ancora non sviluppati, o che giocano con preservativi usati, che ballano il twerking a quattro zampe con mosse provocanti e allusive.
In una scena Amy insegna alle sue amichette come fare lo sguardo ammiccante mettendosi il dito in bocca, mentre ad un’altra insegna a toccarsi il seno ancora non sviluppato.
La cosa sconcertante è che il montaggio e le inquadrature sembrano voler accentuare queste scene con riprese ad hoc. Spesso la camera si sofferma sulle parti intime delle bambine, principalmente sui glutei.
In un’altra scena del film le ragazzine vengono catturate dalle guardie di sicurezza dopo aver fatto irruzione in una sala giochi. Per uscire dai guai, le quattro iniziano a ballare davanti a loro, in modo provocatorio.

Da notare lo sguardo compiaciuto di uno di questi uomini che fissa le bambine quasi con la bava in bocca. Le lascia andare e dice loro di tornare presto.
Il film culmina con le Cuties che eseguono una coreografia in un parco per vincere una competizione. Per diversi minuti, le ragazze eseguono un balletto che lascia poco spazio all’immaginazione: allargano le gambe più volte, si toccano le parti intime e fanno ogni tipo di smorfia.

A questo punto, Amy ha un’illuminazione, inizia a piangere e corre a casa. Alla fine, la vediamo saltare la corda con alcune ragazze, una scena che lascia intuire il suo ritorno alla vita da bambina. Questo frame finale ha portato le persone a sostenere che “questo film è contro la sessualizzazione delle bambine“. Tuttavia, questa conclusione di cinque minuti è stata preceduta da un’ora e mezza di sessualizzazione.
IMDb, il più grande database di cinema al mondo, ora di proprietà di Amazon, ha inserito “Cuties” nella lista dei prodotti che necessitano di una “parental guidance“, ovvero della presenza di un adulto per essere viste, per la categoria sesso/nudo affermando che alcune delle scene potrebbero essere “legalmente definibili come pedofilia“.
La regista Maïmouna Doucouré costretta a difendersi dalle numerosissime critiche (pensate che Netflix ha subìto una perdita in borsa di 9 miliardi di dollari, proprio a causa di queste polemiche) ha detto di sposare “le stesse battaglie di chi critica il mio film“.
Io voglio credere nelle buoni intenzioni della regista e, ripeto, la premessa non era affatto male. L’idea di suscitare un dibattito sulla sessualizzazione infantile è lodevole ma il modo in cui è stato confezionato il film, secondo il mio punto di vista, è ambiguo. “Cuties” si è spinto troppo oltre. È un crescendo di scene sempre più esplicite che sembrano essere create appositamente per “eccitare” i telespettatori. Allo stesso tempo, il film sarà probabilmente guardato da giovani bambine che potrebbero identificarsi con le “cuties”. Sarò esagerato io?
Voi cosa ne pensate?
© 2020 Emanuele Fardella

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