Hollywood, Caso Weinstein. L’effetto domino della denuncia posticipata

photo115.jpgTutto ha inizio il 6 ottobre 2017 quando un’inchiesta del New York Times accusa il produttore cinematografico Harvey Weinstein di molestie sessuali ai danni di alcune attrici di Hollywood, tra le quali Ashley Judd e Rose McGowan. A queste, si aggiungono in seguito le denunce per abusi sessuali e stupro di varie attrici. Nel tempo di un click il caso solleva un polverone mediatico senza precedenti scatenando una reazione a catena nei piani alti di Hollywood: Laura Madden, Zelda Perkins, Lauren Sivan, Romola Garai, Jessica Hynes, Liza Campbell, Louise Godbold, Gwyneth Paltrow, Judith Godrèche, Angelina Jolie, Katherine Kendall, Asia Argento, Cara Delevingne, Rosanna Arquette, Jessica Barth, Lucia Evans… sono solo alcune di una lunga lista di attrici, modelle e impiegate che hanno dichiarato di aver subito molestie e/o stupri da parte di uno dei più potenti produttori di Hollywood. Si tratta di abusi rimasti indenunciati per 30 anni. Eppure a Hollywood “tutti sapevano”.

Le molestie sarebbero avvenute in un lasso temporale molto ampio, con i primi episodi che risalgono alla metà degli anni Ottanta. Decine di dipendenti di Weinstein, attrici o aspiranti tali sarebbero state costrette a spogliarsi, a masturbare il produttore, a fare il bagno insieme a lui, a baciarlo o ad avere veri e propri rapporti sessuali. Ma come è possibile che una sequenza di abusi di tale portata sia passata sotto silenzio per più di trent’anni? Secondo l’inchiesta del New York Times, in diversi casi Harvey Weinstein si sarebbe accordato con le vittime perché ritirassero le denunce in cambio di un risarcimento. Alcune delle vittime raccontano poi di minacce più o meno velate da parte del produttore, e della consapevolezza che, vista l’influenza di Weinstein, una denuncia pubblica avrebbe compromesso definitivamente la loro carriera cinematografica. E il nodo cruciale è proprio questo: una carriera lavorativa vale più della dignità?

photo116Il caso, ad oggi, continua ad avere un effetto tsunami in diversi Paesi, una sorta di domino in cui nessuno sembra avere scampo. Dal premio oscar Kevin Spacey, accusato da Anthony Rapp per “un comportamento inappropriato” nei suoi confronti a un party di 30 anni fa, a Dustin Hoffman accusato di molestie da una stagista, e poi Steven Seagal incriminato dall’attrice Portia de Rossi, Louis C.K., Ed Westwick, il regista James Toback, il fotografo Terry Richardson… ma la lista dei molestatori seriali sembra destinata ad allungarsi giorno dopo giorno. Anche in Italia il fenomeno sembra inarrestabile. Tutto è partito dalle denunce di Asia Argento a molestatori italiani non meglio identificati, poi è toccato al regista Tornatore accusato da Miriana Trevisan seguito anche dal noto regista Fausto Brizzi e dall’attore Michele Placido.

photo117.jpgSono del parere che la divulgazione insistente di ipotesi e voci più o meno incontrollate, è dannosa e imbarazzante per tutti, e sminuisce la battaglia delle donne che trovano il coraggio di denunciare i loro molestatori. Col passare dei giorni, la caccia ai carnefici è diventata sempre più implacabile, animata da una furia che mischia senza distinzioni il concetto di violenza sessuale con quello di “comportamento inappropriato”. Sembra essere nata la “moda” della denuncia posticipata, “ventennale”, o addirittura “trentennale”. Improvvisamente, tutti hanno aperto gli occhi. Tutti scandalizzati, inorriditi, disgustati, dopo essersi svegliati dal lungo torpore dell’ignoranza o dell’ingenuità.

banner032Che sia chiaro, è importante sensibilizzare le donne a denunciare abusi e soprusi ma questa caccia alle streghe è ingiustificabile: Asia Argento che rilascia dichiarazioni senza nominare i suoi molestatori, servizi televisivi che mostrano attrici col volto “blerato” (sfuocato, in gergo televisivo) fare riferimenti velati a presunti registi molestatori senza rivelarne l’identità, attrici che disseminano sui social network indizi sui possibili carnefici minimizzando alla stregua il gioco dell’indovina chi.
Il rischio di banalizzare un argomento delicato come quello della violenza sulle donne è reale. Un coro di lamentele senza i nomi dei carnefici non ha alcun valore. Se non quello di alimentare sospetti. Voi cosa ne pensate?

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Un commento

  1. In un mondo di cambiamenti all’impazzata facciamo prima a farci un’idea tramite immagine, ed è lì che la donna è già compromessa. Quella dei media è la donna che vuol fare quello che vuole. Nella chiesa emerge con un profilo basso. Il resto è una donna che tira avanti, senza un’identità precisa, anzi pure con una coperta addosso. Tutto tranne la donna di Proverbi 31.

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